Capita che un viaggio si trasformi in un ottima occasione per praticare un po’ di sano enoturismo ,più o meno programmato…
Prologo.
Capita che… una sera , a casa In vino veritas, si fosse“ in vena di fare festa”, alla faccia della temperatura esterna pseudo solare di quel periodo, complice l’aria condizionata…
E quindi… capita che si decida di ricorrere ad uno degli antidoti più efficaci mai cogitati da mente umana: aprire una bottiglia di “vino della vita”.
Dicesi “ vino della vita” quello dal profumo più seducente, che dal primo respiro t’inebria e t’innamora, dotato del giusto bilanciamento di tutti i sapori percepibili da palato umano, che ti riempie la bocca in tutte le sue sfaccettature, di un eleganza che ti conquista ad ogni sorso ed una persistenza che non puoi dimenticare.
Attenzione! Il vino della vita non è un SOLO vino, ma il vino perfetto di QUEL MOMENTO: l’enoturista appassionato che sa cogliere l’attimo riesce istantaneamente ad eleggerlo e sapientemente abbinarlo alla situazione contestuale.
La bottiglia al momento degli avvenimenti cui mi riferisco è il Kirkegg della tenuta Hofstatter di Termeno, in Trentino; un morbido e vellutato Merlot che avvolge all’80% un balsamico e tannico Cabernet Sauvignon, conferendo al risultato finale l’equilibrio magico di corpo e sapore di cui sopra.
“Ma sì, è tanto che non beviamo un vino trentino, perché no?!”
Capita che…Prelevo il prezioso esemplare dalla nostra collezione privata ,mentre già le mie papille si attivano, quando…ahimè!
Cosa succede?! Mi rendo conto che il disastro è imminente!
L’ ULTIMA BOTTIGLIA!!
“ALTRO VINO!” “SIRE IL VINO E’ FINITO!” (cit)
Urge porre rimedio all’increscioso inconveniente…
Ricapitolando:
Capita che….un viaggio in Germania diventi il mezzo che giustifica il nostro fine.
Si parte all’alba, carichi, di tutto: aspettative, voglia di relax, di scrollarsi dalle spalle due anni grondanti di cambiamenti, fatiche ,stravolgimenti, stress, e pioggia… tanta , troppa pioggia.
Raggiungere il paesaggio trentino, le strade incastonate nelle valli, seguirne le sfumature di verde, ammirarne il contrasto tra il più scuro dei boschi ed il brillante dei prati, intervallato dalle brulle -a tratti minacciose- pareti di roccia, godersi lo spettacolo delle vigne che s’inerpicano dove non sembrerebbe possibile….riconcilia con il mondo ed i pensieri sembrano scorrere senza ostacoli.
Finalmente la prima tappa raggiunta, la Tenuta Hofstatter, ubicata nella piazza del Municipio, quella centrale di Termeno. La posizione logistica aiuta, oltre al resto: il ristorante esclusivo incorporato alla sala degustazioni, moderna ma accogliente, l’ingresso alla cantina adiacente, e sul retro l’ammiccante giardino affacciato sulle vigne e sulla chiesa del paese, con comodo salottino ricavato da una nicchia dove si può degustare con tranquillità ammirando la natura dei luoghi.
Ci accoglie Alexia, una giovane e preparata hostess, che già è impegnata con una degustazione in lingua tedesca. Ci sottopone la lista dei vini disponibili per l’assaggio e ci rendiamo subito conto che, nonostante le nostre buone intenzioni, saremo “costretti” ad assaggiare molto più del previsto, dato che troviamo a nostra disposizione, oltre alla linea base, anche il loro metodo classico e tutte le riserve sia dei bianchi che dei rossi.
Ed è proprio dalla loro bollicina che vogliamo partire, un blend di Pinot bianco, Chardonnay e Pinot nero vinificato bianco, che passa 24 mesi sui propri lieviti ; un brut profumato come solo lo Chardonnay sa fare, un perlage fine e cremoso, acidità perfetta e residuo zuccherino davvero contenuto.
Ottimo prodotto e rapporto qualità prezzo lodevole, bravi.
Proseguiamo con il Joseph, entry level del Gewurtztraminer: anno 2021, 14.5 gradi alcolici , giusto livello di aromaticità che riesce a non diventare stucchevole.
Il vitigno Gewurtztraminer rappresenta la maggior parte del loro vitato, che in totale si aggira attorno ai 55 ettari, in prevalenza dedicato alla coltivazione dei vini bianchi: il clima ed il terroir sono perfetti per questo tipo di vini, che acquisiscono acidità ed intensità unici, dovuti alle escursioni termiche tra giorno e notte e al terreno calcareo.
Ci spostiamo a questo punto sui rossi, passando per un rosato fermo di Lagrein , a nostro gusto non esattamente adatto a questo tipo di vinificazione, in quanto interessante ma forse troppo “spigoloso” per un vino di pronta beva. Stesso discorso vale per il Lagrein base, che, nonostante sia annata 2020 e vanti un passaggio in botti grandi (come tutti i loro rossi, anche gli entry level), conserva la ruvidità tipica di questo vitigno e un pizzico di tracotanza tipica della giovinezza…
Decidiamo di avventurarci quindi oltre, provando anche il Lagrein riserva, VIGNA STEINRAFFLER, annata 2018: frutto di uve provenienti da un’unica vite antica e presente in commercio da più di 7 anni, caratteristiche che gli hanno conferito la dicitura “VIGNA” in etichetta.
La permanenza ulteriore in botte decisamente aiuta ad “addomesticare” questo meraviglioso quanto complesso prodotto, esaltandone le caratteristiche balsamiche e speziate e arrotondandone la tannicità.
Facendo un piccolo passo indietro, ci dedichiamo una coccola con il Merlot 2020, che già alcune settimane prima ci aveva deliziato a casa come accompagnamento ad un piatto di gnocchetti al tartufo. Un vino che è sempre una garanzia: avvolgente, rotondo, intenso senza essere invadente,completo, pur non essendo una riserva.
Nella nostra esplorazione non poteva mancare lui, la star del territorio: il Pinot nero, o Blaubugunder, come dicono da queste parti, che grazie alle particolari caratteristiche ampelografiche della zona, è sena dubbio il prodotto più rappresentativo del territorio nonché il più conosciuto, apprezzato ed esportato.
Testiamo direttamente la riserva Mazon, anno 2019 :elegante, raffinato, di una finezza senza paragoni, e per avere un quadro più completo proviamo anche il Michei di Michei anno 2020, fratello “minore”, proveniente da un’unica vigna ma che ancora non si è guadagnato la dicitura sulla bottiglia in quanto non in commercio da tempo sufficiente.
Infine, “last but non least”, ecco che arriva lui, quello che è stato il motore di tutta la nostra avventura: il Kirchegg (angolo della chiesa) per l’ubicazione delle vigne che lo originano, certo, ma un nome quanto mai adeguato per tutti i santi che si invocano quando lo si sorseggia!
Per non farci mancare (quasi) nulla concludiamo con il Cabernet Sauvignon 2020 , la stessa uva che viene utilizzata nel Kirchegg, ma che da sola riporta sentori erbacei, di peperone e idrocarburo più complicati da comprendere.
Appagati e soddisfatti, acquistiamo un quantitativo sufficiente per i prossimi 6 anni , salutiamo e ringraziamo Alexia e ci congediamo promettendo un ottima recensione sulla nostra esperienza.